Il mio allenatore mi diceva spesso che correvo come una foca.
Non so se fosse vero, ma di sicuro visualizzarmi come tale non dava sprint alla mia andatura. Restavo anzi a fissare dentro di me questa immagine che diventava sempre più mia, sempre più io.

L’immagine che abbiamo di noi stessi è il fulcro della nostra identificazione, e identificarsi in un campione o una foca, nello sport come nella vita, fa la differenza.

Quanto spesso nei campi sportivi sentiamo apostrofare i ragazzi in modo negativo!

Quanti danni osservo ogni giorno nei miei pazienti a causa di definizioni poco edificanti per l’immagine che si sono creati dentro di sé!
L’immaginario che ci portiamo dentro non ha però solo una valenza negativa, ma è anche un potenziale, che è di per sé una strategia, una carica messa a disposizione dalla nostra psiche.

Come poterla usare allora?

Quando ci rivolgiamo ai nostri piccoli o grandi atleti è indispensabile fornire sempre l’ esempio costruttivo: “Cerca di correre come una pantera”, “Quando balli cerca di sentirti una farfalla”, e mai usare l’esempio distruttivo del modello sbagliato “Non correre come una foca”, “Sembri un elefante”.

Perché l’immagine che abbiamo di noi spesso plasma il nostro modo di muoverci nel mondo, quindi autodetermina successi e insuccessi.
Ma l’immaginario può essere uno strumento che l’atleta usa anche attivamente e consapevolmente, esercitandosi ad immaginare il proprio gesto atletico sempre più corretto, sempre più efficace.
Questo crea sia un allenamento mentale a produrre un movimento migliore, sia un senso di auto efficacia che rende più forti e sicuri di sé.
Sicuri di non essere una foca o una rana… a meno che non si pratichi il nuoto.

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