Sto parlando di storie in cui un genitore e i figli vengono lasciati in disparte dall’altro genitore per ragioni conflittuali, sentimentali o lavorative, con traumi e problematiche relazionali che si trascinano anche per decenni.


Ho usato l’aggettivo mazziate al femminile, perché tutte le situazioni in cui mi sono imbattuta in prima persona coinvolgevano madri e figli.
In queste difficili vicende, tutti si aspetterebbero che il genitore che abbandona venga investito dai figli da sentimenti di rabbia e risentimento, ma spesso non è così e, beffa delle beffe, chi resta paga.

In altre parole, i figli scaricano tutta la loro rabbia e frustrazione sul genitore che resta, e che cerca di farsi in due, provando a sopperire al genitore mancante.

Questo succede a causa di varie dinamiche e fantasie talvolta primitive, altre complesse.

Al genitore che rimane viene rimproverato di non essere riuscito a tenersi vicino il partner.
Il genitore che rimane non è riuscito a proteggere il suo cucciolo.
Il genitore che rimane non è mai abbastanza per coprire un doppio ruolo.
Il genitore che rimane, nel tentativo di farlo, è spesso stressato da questo impegno, ed essendo consapevole di non potersi sdoppiare si sente in colpa, diventando insicuro.
Il genitore che abbandona se ne sta spesso lontano ed è facile da idealizzare.
Il genitore che se ne va, si sente a sua volta in colpa e nelle sue sporadiche comparse si comporta in modo mirabile, non essendo consumato dalla quotidianità.

Eppure è indispensabile che chi rimane faccia squadra e trasmetta in quel “Noi” di chi resta un valore aggiunto.
L’obiettivo è di cementare la fiducia reciproca e insegnare ai propri figli come crescere con la giusta autostima.

Per fare questo, è fondamentale non minimizzare l’evento ma condividere il dolore, per poi spartire anche la speranza e la fiducia di farcela.
Invece di cedere alla tentazione di scappare via dal nido abbandonato dall’altro, e mi riferisco sopratutto ai genitori, è fondamentale verbalizzare quanto sia importante la collaborazione di chi rimane nell’affrontare i problemi, senza far finta di niente.
Per esempio è utile dire: “Abbiamo affrontato questo insieme”, ed è utile sottolineare come tale collaborazione non si sia spezzata di fronte al dolore e alla rabbia.
Questo messaggio ha l’obiettivo di prevenire l’idea che questi ragazzi svilupperanno e manterranno a distanza di decenni: la sicurezza che essere abbandonati sia un destino inevitabile.
Anche il mantenimento delle abitudini familiari o delle regole educative è essenziale per creare una solida sponda che argini il terrore di venir spazzati via da uno sconvolgimento radicale.
Non è necessaria rigidità, e i cambiamenti vanno verbalizzati e introdotti gradualmente e mai come un fallimento, ma come una possibilità o una strategia.
Quindi non è funzionale il pensiero: “Siamo costretti a cambiare casa”, ma è utile dire: “Sarebbe una buona opportunità cambiare casa per avere i seguenti vantaggi…”.
Oppure, se si è sempre andati in vacanza in una località famosa, in un hotel favoloso, non si può passare un mese dagli zii in campagna senza spiegare nulla. Si può dire “Adesso che ci siamo solo noi possiamo approfittare per stare con …, per andare qualche giorno in…”
Il genitore mazziato deve evitare di caricarsi sulle spalle la responsabilità dell’abbandono come un marchio di fallimento, perché, seppur ci sono responsabilità, non si può controllare sempre tutto.

E quando gli viene il dubbio se ce la farà o meno a tirare avanti da solo il nucleo familiare, pensi al fatto che porsi questa domanda lo rende già un genitore attento e consapevole, e che con il peso della sua presenza funge già da àncora sicura.

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