
Molto spesso, soprattutto nelle città, quando nasce un figlio, la preoccupazione maggiore del genitore è di farlo socializzare.
Si spendono immense risorse perché sin da subito il bambino diventi popolare.
Lasciando perdere gli estremi dei baby influencer, anche il genitore meno social si sforza di offrire al proprio figlio alcune ore con altri bambini, fin dalla culla.
Lo scopo dichiarato è stimolarli, abituarli alla socialità e soprattutto non farli annoiare.
Trovo tutto ciò discutibile da un punto di vista psicologico e cognitivo, perché l’abitudine alla condivisione e alla mediazione con l’altro è un approccio che la famiglia insegna con l’esempio; è uno stile di vita che non si impara andando qualche ora al parco giochi, dove spesso i genitori sono pronti a difendere i loro principini da qualsiasi possibile usurpatore.
L’ora al parco diventa invece momento di apprendimento della difesa personale e, se il bambino si fa mettere i piedi in testa o se ne sta in disparte, iniziano le ansie genitoriali.
Col passare degli anni, le pietre miliari per lo sviluppo dei bambini diventano gli inviti a feste di compleanno e i pigiama party, senza ricevere i quali non si vale veramente niente.
E’ un altro passo verso il narcisismo sociale: “nessuno mi deve sopraffare, tutti devono cercarmi”.
Al nido, all’asilo e alla scuola elementare, la spinta alla socializzazione forzata è uno lavoro non solo inutile, ma spesso dannoso.
Perché un bambino, che è stato per otto ore in una classe, dovrebbe uscire da scuola ed essere accompagnato immediatamente a casa di un amichetto o portato a una festa per stare con gli altri? Cos’ha fatto fino ad allora?
Può essere lasciato a casa propria, anche da solo o in famiglia a sviluppare altri aspetti tanto utili per il suo futuro e il suo equilibrio. Per potersi sperimentare in attività creative e ricreative (leggere, disegnare,scrivere), per il puro piacere di farlo, per coltivare la propria autosufficienza.
Questi spazi vuoti, da riempire di sé e solo di sé, sono il prerequisito indispensabile per sviluppare le risorse interiori che rendono felici indipendentemente da tutto e costituiscono una sorta di tesoro da cui attingere anche nei momenti peggiori.
Questa modalità di socializzazione forzata convoglia invece molta energia del genitore e del figlio nel farsi accettare e nel rendersi accettabile, sviluppando sia un’abitudine a conformarsi al contesto in modo talvolta passivo, sia un bisogno di essere riconosciuto ad ogni costo, che soprattutto in adolescenza può avere risvolti rischiosi e anche nell’età adulta può tradursi in una rincorsa continua per sentirsi adeguati e per riempire il proprio vuoto interiore.