Diventare madre significa ancora per molte donne aderire ad uno stereotipo sociale che le inchioda al ruolo di ancella della famiglia.
Si diventa madri facendosi cave, nell’utero e nella mente, accogliendo quello che c’è fuori e prendendosi cura di esso.
È vero che non si può essere cavi nella mente pensando solo a se stessi, ma si può essere cavi e pensare anche ad altro, perché essere madri non coincide con l’annullamento di sé.
Eppure, esiste ancora uno stereotipo graniticamente scisso da tutto il resto: quello della madre sacrificio che può esprimere se stessa solo nel prendersi cura di chi ha generato, e per estensione viene relegata a prendersi cura di tutti quelli che di cure hanno bisogno.
La madre sacrificio partorisce nella fatica e nel dolore; quindi, troviamo ancora numerose donne che hanno affrontato il taglio cesareo con un vissuto di inadeguatezza, che le porta ad avere un’autostima più fragile e più dubbi nell’interazione con il loro bambino. Ma soprattutto persiste il timore che la gravidanza annulli ogni potenziale evolutivo personale della donna.
A questo proposito riporto un sogno di una paziente, che ha difficoltà ad integrare il ruolo di madre sacrificio con la propria identità intellettuale e seduttiva, che sogna, alcuni mesi dopo il taglio cesareo, di dare alla luce il primo figlio da un grosso taglio nella gola. Nel sogno, questo taglio (tra testa e corpo) la deturpa e le causa difficoltà nel far sentire la propria voce; nella realtà, il sogno le crea grande senso di colpa.
È vero che i primissimi mesi di cure e di adattamento sono molto faticosi e spesso la stanchezza annienta; talvolta, l’unico obiettivo di una madre che si prende cura di un neonato è di dormire, riposare, prendersi un’ora per ritrovarsi con se stessa. E la paura più grande che esprimono queste donne è la mancanza di prospettiva di evoluzione, la paura che possa essere così per sempre: per sempre stanca, per sempre in simbiosi, per sempre e solo madre sacrificio.
Su questa prospettiva si può lavorare, rendendole consapevoli che il loro ruolo può e deve evolversi ed integrarsi, che la loro esperienza sarà una fonte alla quale potranno attingere e non un sacrificio che le schiaccia; che sentire di non voler vivere così non deve farle sentire cattive madri.
Ma soprattutto è importante capire che quando arriva un figlio – in qualsiasi modo arrivi – è l’inizio di tante nuove storie personali: di madri, padri, nonni… sicuramente non la fine della propria vita.
È vero che nulla tornerà come prima, ma tutto sarà più di prima.