
Spesso sento decantare i benefici dell’uso disinvolto delle droghe leggere.
E allora, qual è il problema in questa convinzione?
Mi sorprende sempre quando persone intelligenti e istruite considerano le “droghe
leggere” innocue.
Le droghe come marijuana o hashish vengono definite leggere per la presunta “scarsa” concentrazione di principio attivo (THC), mentre in realtà ci sono così tante tipologie di piante e metodi di estrazione da non poter conoscere le caratteristiche del prodotto che arriva al fruitore.
In uno studio pubblicato sulla rivista Addiction i ricercatori dell’Università di Bath e del King’s College di Londra mettono in guardia sull’aumento della quantità di THC presente nella composizione della cannabis negli anni che vanno dal 2006 al 2016.
Questo componente psicoattivo interagisce con aree del cervello che controllano le funzioni cognitive e che sono coinvolte nello sviluppo del cervello.
Inoltre, se da un punto di vista chimico, le droghe leggere non inducono facilmente a una dipendenza fisica o psichica, in realtà la frequenza d’uso, il modo e le dosi con cui vengono assunte cambiano le carte in tavola sul breve, ma soprattutto sul lungo periodo.
È significativo conoscere che animali esposti in alcuni esperimenti, pubblicati su Journal of Neuroscience, al THC hanno avuto un’alterazione dello sviluppo del cervello.
E se sono esposti i nostri ragazzi di 14-15 anni?
Dal punto di vista degli effetti immediati, quelli del primo quarto d’ora, si osserva uno stato di leggerezza e lieve euforia. Non dovrebbe quindi sbalordirci che i ragazzi ne facciano uso prima e durante e al di fuori dell’orario scolastico, al posto del cappuccino al bar, per cominciare una noiosa giornata scolastica col piede giusto.
Ne segue una piacevole tranquillità, utile per affrontare qualsiasi difficoltà del quotidiano, ma potrebbero comparire alterazioni dell’umore e distorsioni della percezione del tempo e dello spazio e anche della propria dimensione corporea, cosa non proprio rassicurante per chi si mette alla guida fosse anche solo di una bicicletta.
Chi consuma abitualmente droghe leggere può inoltre sviluppare una sindrome chiamata amotivazionale, caratterizzata da apatia, indifferenza affettiva, mancanza di interesse per tutto e per tutti.
Un’altra informazione preoccupante è data dal fatto che la componente psicoattiva del fumo di marijuana è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica, andando ad accumularsi (canna dopo canna) nel sistema nervoso centrale, così da poter creare nel tempo danni permanenti. Si osservano infatti deficit della memoria a lungo termine, della memoria di lavoro (quella che permette un calcolo a mente), della capacità di concentrazione e della coordinazione motoria.
Inoltre, strutture psicologicamente fragili possono scompensarsi tanto da precipitare verso psicopatologie gravi. Per questo, anche l’uso terapeutico di droghe leggere richiede un’attenta osservazione medica.
Per concludere, date le conseguenze così pesanti derivanti dall’uso di queste sostanze, non posso condividere la promozione dell’uso diffuso delle cosidette droghe leggere e mi sembra che l’unica leggerezza stia nel modo in cui talvolta se ne fa uso o se ne parla.