
Alcuni genitori si sentono quasi in dovere di essere sempre preoccupati per i propri figli, come se fosse la garanzia di essere dei genitori migliori.
Purtroppo, il genitore che vive nell’ansia non ha un comportamento più funzionale rispetto a chi è fiducioso.
È vero, in realtà, proprio il contrario: chi si preoccupa per una problematica particolare del proprio bambino, finisce spesso per imbattersi esattamente in quanto temeva.
Infatti, laddove si focalizza la preoccupazione, è più probabile che nasca un problema.
Immaginiamo il genitore angosciato dal fatto che il proprio bambino non mangi abbastanza: si avvicinerà a questa esperienza, carico di paure e, al primo accenno di inappetenza, innescherà facilmente una reazione di ansia e manipolazione.
Oltretutto, il bambino sentirà immediatamente quale sia la leva per attirare l’attenzione su di sé e conquistare tutto quello che, senza l’angoscia del genitore, non avrebbe potuto ottenere. Per esempio, “guarda pure la tv mentre mangi, pur che mangi…”.
Oppure, il genitore che ha il terrore che il figlio venga bullizzato: non appena il piccolo è al parco giochi e un bambino gli prende la palla, il genitore entra in agitazione perché gli sembra che il figlio non reagisca in modo abbastanza deciso. Per questo lo incalza, con ansia, facendolo sentire inadeguato, facendogli percepire la situazione come pericolosa, angosciante e creando un disagio laddove non ce n’era uno. E la volta successiva, il bambino probabilmente non vorrà più andare al parco giochi, rafforzando la certezza del genitore che il figlio sia inadeguato.
Come si può capire, l’angoscia per un’area dello sviluppo del figlio si accompagna implicitamente alla sfiducia nelle risorse del bambino e, in generale, alla convinzione che l’adulto debba proteggerlo e dirigerlo in tutto, perché altrimenti: “chissà cosa succede…”.
Queste convinzioni portano con sé messaggi estremamente dannosi, che distruggono l’iniziativa e la fiducia in se stessi e possono portare a dinamiche di manipolazione e ricatti.
E’ un effetto domino quello che si scatena, in cui il bambino si ritrae timoroso e l’adulto diventa sempre più attivo e sempre più allarmato.
Allo stesso modo, si sviluppa questa dinamica disfunzionale tra figlio che non mangia, non studia, non dorme, non vuole usare il vasino, non socializza, e gli adulti intorno a lui. Spesso questi ultimi ne parlano continuamente, facendo diventare il “Problema” protagonista in ogni discussione, inducendo nel bambino un senso di importanza e di potere.
Per interrompere il circolo vizioso, si consiglia ai genitori di non parlare di questa situazione e, soprattutto, di non parlarne con nonni, amici e parenti, affinché si eviti di sviluppare una cassa di risonanza, che per lui è un vantaggio secondario irresistibile.
Le aspettative degli adulti sui bambini si autoavverano spesso, non perché gli adulti siano dei veggenti, ma perché nel bene e nel male le loro aspettative hanno una grande influenza.
Ogni volta che diciamo, angosciati, ai nostri figli: “ma saprai difenderti?”, “ti comporterai bene?”, “ temo che quest’anno tu stia rischiando la bocciatura”, “se sei distratto come al solito, non vincerai la gara”, “se non mangi la nonna piange”, “perché non ti hanno invitato alla festa?” poniamo l’attenzione su quello che temiamo e sul pericolo che potrebbe incombere.
L’immaginazione e le aspettative negative assumono, allora, grande importanza e si amplificano, impedendo la percezione delle altre opportunità: quelle non drammatiche.
In questo modo, si perde e si fa perdere di vista la realtà, che è ancora lì, ancora tutta da costruire e sperimentare e che ha bisogno di essere osservata con attenzione, per afferrarne la potenzialità positiva.
Pertanto, l’angoscia anticipatoria, anziché proteggere, ostacola la scoperta di possibilità positive, che invece ci sono sempre.