In questi mesi di pandemia alcuni bambini piccoli, non avendo cominciato ancora un percorso scolastico, sono stati in casa con i genitori, più spesso con la mamma, vedendo poche altre persone.

Questo relativo isolamento sociale fa sì che il bambino sia meno abituato a interagire con parenti e amici e sembra che, con maggiore frequenza, reagisca alla presenza delle persone estranee alla sua quotidianità con crisi di pianto e reazioni di ansia.
La paura dell’estraneo, che si sviluppa nei bambini normalmente verso gli 8 mesi, è un momento fisiologico di crescita collegato all’ansia di separazione dai genitori. Ora il bambino ha una miglior capacità di riconoscere i volti e sa distinguere quello che è estraneo e sconosciuto da quello che è conosciuto e sicuro. Comincia a rendersi conto anche che egli non è un tutt’uno con la madre e che questa figura di riferimento può allontanarsi da lui. Questo gli fa percepire un senso di insicurezza e di pericolo connesso alla solitudine e alla presenza di estranei.
Col tempo e con la maturazione, intorno ai due anni, questa tappa spontaneamente si evolve verso una maggiore sicurezza e una maggiore autonomia.
In questi mesi di distanziamento sociale sembra che nei bambini queste reazioni di paura siano un po’ più forti, questa fase duri più a lungo e talvolta ci sia una regressione quando la fase sembrava superata.
In generale i genitori si preoccupano molto quando i loro figli scoppiano a piangere davanti allo zio o alla vecchia amica che vedono una volta ogni tanto. Alcuni genitori vivono questi momenti con grande imbarazzo e mortificazione, altri genitori temono perfino che il loro bambino non sia “normale”.
Per questo talvolta spingono il figlio verso l’altro, ottenendo il risultato opposto.
Dato che questa fase evolutiva è normale possiamo spiegare serenamente a parenti e amici che il bambino sta vivendo questo momento, come da manuale, e che bisognerà aspettare alcuni mesi perché passi.

Ma cosa fare concretamente nel frattempo?

In questi casi è sempre meglio non forzare il bambino, ma lasciare che dalla sua base sicura (in braccio alla madre o sotto al tavolo), sia lui stesso a muoversi verso l’altro.
Può essere utile far vedere al bambino le fotografie di amici e parenti, che non si incontrano spesso, nominandoli e raccontando qualcosa su di loro: “Ecco la zia Anna con il cane Pippo” oppure “Ecco Mario che guida la macchina rossa”.
Si possono elaborare anche delle piccole storie con questi personaggi reali.
Inoltre è bene evitare di farli spupazzare da un nuovo arrivato: il bambino può percepirlo come una spiacevole invasione.
È importante, quando sia possibile, lasciare il bambino con altre figure accudenti, quali il padre, un fratello maggiore, la nonna, in modo da sviluppare una crescente capacità di far affidamento su altre persone.
Si può chiamare il bambino quando si è in un’altra stanza, per fargli sentire che ci siamo, continuiamo ad esistere, anche se non può vederci.
Sono consigliabili dei piccoli rituali, quando ci si allontana dal piccolo e lo si lascia per qualche ora. Banalmente fargli “ciao ciao” rappresenta un rituale sociale. Si può lasciargli il suo orsetto preferito.
Mai imbrogliarlo, allontanandosi di nascosto, perché il timore che si possa sparire inspiegabilmente lascerebbe dentro di lui degli strascichi di ansia molto profonda.
Non è escluso inoltre che in questo momento storico sia anche l’adulto a percepire l’estraneo come un pericoloso nemico, portatore di virus.
In tal caso sarà il timore dell’adulto stesso, che viene trasmesso inconsapevolmente al bambino, ad allarmarlo ancor di più. Dobbiamo per questo stare attenti alle nostre reazioni, perché i piccoli percepiscono, anche dal tono muscolare con cui li teniamo in braccio, il nostro stato di tensione.
Ogni bambino comunque affronta questa tappa in modo diverso, in base alla sua storia e alle sue attitudini, per questo non è utile che l’ambiente abbia delle aspettative troppo rigide sui tempi e sui comportamenti che il bambino dovrebbe avere mese per mese.
Anche in questa fase dobbiamo invece rassicurarlo, dimostrandogli l’accettazione e il nostro amore.
Inoltre vanno evitate sempre le reazioni eccessive da parte dell’adulto alle manifestazioni emotive del bambino perché questo amplificherebbe il suo disagio; in fondo a nessuno piace essere sotto i riflettori e al centro dell’attenzione quando si piange e si è a disagio, a meno che non si faccia l’attore.

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