
Certe relazioni sentimentali si trascinano a lungo, anche quando è evidente che la sofferenza, l’insoddisfazione e l’astio hanno preso il posto dell’amore, dell’affetto, della stima e di tutto quello che può dare un senso positivo ad un legame tra due persone.
Quasi a tutti noi è capitato di rimanere legati sentimentalmente a persone che non ci volevano più o con le quali si era sviluppato un rapporto che non era più soddisfacente.
L’abbiamo subìto e l’abbiamo prolungato, accanendoci nel perseguire una strada che non ci avrebbe portato a nulla di buono.
Perchè agiamo in questo modo, contro i nostri stessi interessi?
Quando le nostre pulsioni vengono investite su un oggetto esterno (l’oggetto d’amore), questo diventa un’estensione del proprio sé. L’oggetto d’amore è inizialmente idealizzato e la relazione è percepita come fonte di ogni appagamento e soddisfazione, in un forte parallelismo con quello che era il legame del neonato con la madre. Il rapporto, di solito, si evolve nel tempo e viene meno l’idealizzazione assoluta, c’è un riconoscimento dell’altro come altro da sé, con i suoi pregi e difetti; in altri termini si scende con i piedi per terra.
Talvolta, qualcosa non va o addirittura si delinea una situazione che ci fa soffrire e ci toglie serenità: non era quello che speravamo e siamo delusi, eppure…
La percezione di quanto abbiamo investito rimane forte ed è spesso il timore di perdere quanto abbiamo riposto nell’altro che ci trattiene dal fare la scelta più ragionevole. Ecco che tanti innamorati trascurati, umiliati, insoddisfatti si chiedono cosa possano fare di fronte ad una situazione nella quale non sembra esserci più amore, ma solo il ricordo di quel che c’era e soprattutto il rammarico per quel che avrebbe potuto esserci.
È difficile ammettere che quell’oggetto d’amore ed estensione di sé non sia così meraviglioso come abbiamo creduto, e per salvarlo siamo disposti a pensare che sia il nostro disagio ad essere esagerato, che la situazione non sia così terribile, evitando di ascoltare tutti i nostri campanelli d’allarme. Ecco che mettiamo a tacere i nostri bisogni, poniamo in dubbio i nostri principi, ritrattiamo i nostri progetti e gradualmente intacchiamo la nostra autostima.
Inoltre, per orgoglio o per timore di giudizio, è difficile ammettere lo sbaglio e abbandonare un’impresa, sia pur destinata al fallimento.
Allo stesso modo, la psicologia sociale ci dimostra che, una volta coinvolti in un investimento, si rimane incastrati in una trappola mentale che ci spinge a continuare a sostenere un progetto infruttuoso, nel quale si sono spesi molti soldi, energie e tempo perché: “Ho investito troppo per mollare ora…”.
E “non mollare” significa rimanere agganciati all’investimento passato, che è comunque un costo irrecuperabile, e lasciare che questo determini le nostre scelte future, anche contro i nostri interessi presenti.
Soprattutto, però, significa salvaguardare l’oggetto d’amore e, per salvarlo, assumersi la colpa delle dinamiche distruttive, illudendosi di avere il potere di cambiare le cose, quando l’unico potere vero, e sano, sarebbe quello di portarsi in salvo.