Perché controlliamo continuamente il nostro smartphone, come se aspettassimo un messaggio o una chiamata importante?
Quante volte vediamo persone che, pur essendo in coppia o in un gruppo continuano a rivolgere l’attenzione al loro telefono, ignorando chi è con loro?
Alcuni di essi hanno bisogno di sentire che non sono soli, altri cercano di negare la possibilità di essere soli, ed è probabilmente per questo che tengono continuamente in mano questo magico oggetto.
Un oggetto magico, con una storia che parte da lontano…
Il bambino, tra i 4 e i 12 mesi, inizia a servirsi di un oggetto transizionale: un oggetto reale che sta tra lui e la madre, a rassicurarlo quando lei non c’è; è un passo verso l’autonomia e la possibilità di restare da solo. L’oggetto transizionale, come per esempio la copertina di Linus, è uno strumento per attenuare l’ansia del distacco e per accettare la solitudine.
Quando il bambino si evolve, trasferisce i suoi investimenti e le sue passioni verso aree di interesse sempre più ampie e diversificate; invece, se l’oggetto transizionale diventa più importante della persona o dell’oggetto che realmente ci manca, negandone l’esistenza e quindi anche l’assenza, allora diventa un feticcio.
L’uso dello smartphone negli adulti si presta a questa evoluzione: talvolta è un oggetto che ricorda chi non c’è e rassicura, perché rimanda al legame, come l’oggetto transizionale; talvolta permette di negare il limite spaziale, rendendoci onnipresenti nei social. Altre volte diventa un feticcio, che viene venerato come protezione dal nostro terrore di perdere quello che per noi è importante.
Infatti questo atteggiamento, che può sfociare nella patologia, si osserva quando il feticcio serve a negare l’oggetto mancante, ma allo stesso tempo è la testimonianza dell’oggetto mancante e della mancanza dell’oggetto.
Per capire questa contraddizione e il danno che di fatto sortisce, basti pensare a chi sta sempre sul telefono per non sentirsi solo, ma in questo modo sta di fatto sempre solo con il suo feticcio, anche quando è in mezzo agli altri. Ciò gli permette di evitare il suo bisogno reale, ma lo costringe a concentrarsi sul controllo del suo telefono, così rassicurante, così sempre a portata di mano, come un essere vivente non potrebbe mai essere.
Così, con l’illusione di controllare un oggetto inanimato e negare le nostre paure, perdiamo il contatto con la vita che ci pulsa dentro e intorno.